Curiosità

I fuochi di Pietramala

“Alla distanza di poco più di un mezzo miglio al disotto del villaggio sul pendio del monte evvi un terreno, come un piccol campo, il quale mirato anche da lungi, vedesi coperto di fiamme, che sorgono all’altezza di alcuni piedi, fiamme leggere, ondeggianti, e di color ceruleo la notte, come s’accordano tutti a riferire gli abitanti di quelle vicinanze; in tempo di chiaro giorno queste fiamme non si scorgono che assai dappresso, e appaiono assai tenui e rossigne.”
Con queste parole Alessandro Volta descriveva i famosi “terreni ardenti” di Pietramala, conosciuti più comunemente come “fuochi”, dopo averli visitati nel 1780.

La targa dedicata ad Alessandro Volta

Oggi ormai sono poche le persone che possono ricordare questo affascinante fenomeno, che per secoli e secoli ha costituito una caratteristica indelebile di Pietramala; non bisogna però stupirsi di questo se si pensa che ormai da un secolo le fiamme non sono più visibili, da quando cioè nelle zone interessate dai fuochi si cominciarono a trivellare pozzi per l’estrazione di petrolio e gas metano, il quale, uscendo dalle crepe di terreni argillosi e incendiandosi durante i temporali a causa dei fulmini, era all’origine dei cosiddetti “fuochi”.

Le sorgenti dei fuochi erano localizzate in tre differenti punti, tutti situati nelle vicinanze del paese, e conosciuti con il nome di Fuoco del Legno, Fuoco del Peglio e Acqua Buia. Sembra che ne esistesse anche un quarto, detto di Canida (oggi Monte Canda), che però venne occultato, pare, da una frana.

Il Fuoco del Legno era situato subito sotto al paese, in una zona conosciuta ancora oggi con il nome di Vulcano, proprio a motivo di questi fuochi, ed era il più noto perché’ ardeva sempre ed ben visibile dalla strada principale. Nel ‘600, quando ancora i fuochi incutevano terrore, il Fuoco del Legno era denominato l’Inferno o Bocca d’Inferno. Questo perché’ capitava, pare, che i viaggiatori che si smarrivano nella notte finissero nei precipizi, proprio per queste fiamme luminose che cercavano di seguire.

 

Il Fuoco del Peglio era situato poco lontano da quello del Legno, nei pressi dell’abitato del Peglio; questo era conosciuto col nome di Paradiso. Anche questo fuoco era quasi sempre acceso e presentava gli stessi fenomeni di quello del Legno: la terra intorno a loro aveva un colore nerastro, era untuosa e odorava di petrolio.

 

Il Fuoco dell’Acqua Buia era situato subito al di sopra del paese, ai piedi del contrafforte arenaceo di Monte Oggioli; la bocca di questo fuoco formava un piccolo bacino dove si raccoglievano le acque, che bollivano per la risalita dei gas dal sottosuolo: a causa di cio’ il fuoco era quasi sempre spento. Solamente in estate, quando il bacino era in secca, si formavano piccole fiammelle che si spegnevano al minimo alito di vento.

I fuochi di Pietramala

Per quanto riguarda le cause di questo fenomeno, va ad Alessandro Volta il merito di aver individuato la vera origine dei fuochi. Nel 1778 mentre camminava nei pressi dei canneti di Angera, sul Lago di Como, egli notò che dal fondo melmoso affioravano copiose bollicine di gas. Intuendo che questa “aria” potesse essere infiammabile, la raccolse e l’accese, scoprendo così quella che lui definì “aria infiammabile nativa delle paludi”, che i moderni avrebbero chiamato metano.
Volta si recò poi nel settembre del 1780 a Pietramala, trasformando la stanza del piccolo albergo della borgata, ove alloggiava, in un vero e proprio laboratorio chimico. Egli constatò sperimentalmente che il gas che si sprigionava dai Fuochi Pietramala era analogo a quello da lui studiato due anni prima ad Angera.

A Pietramala il Volta ebbe occasione di perfezionare i suoi studi sull’Eudiometro, apparecchio inventato dallo stesso Volta (1777) per determinare la quantità di gas presente all’interno di una miscela aeriforme. Questo preziosissimo strumento d’indagine, che il Volta applicò in un primo momento per l’analisi dell’aria, era costituito da un tubo graduato chiuso ad una estremità con un tappo di sughero attraverso il quale passavano due fili metallici (elettrodi); perfezionato in seguito da Gay-Lussac, Bunsen e Hoffmann, l’eudiometro di Volta è adoperato ancora oggi.

Lo scienziato studiò inoltre la possibilità di comprimere il gas metano nella canna di un moschetto e, per mezzo di una scintilla elettrica, incendiarlo ottenendo una micidiale forza di propulsione (la cosiddetta “Pistola Voltiana”).

Prima e dopo di Alessandro Volta, il fenomeno dei fuochi aveva interessato altri studiosi. Tra questi lo svedese Bijoernsthael nel 1772, e nel 1785 padre Ambrogio Soldani dell’Università di Siena. Va infine a don Piero Marrani il merito dello studio, nel primo decennio del 1900, della composizione dei gas alla base del fenomeno, portata avanti con strumenti semplici ma rivelatosi in seguito sostanzialmente corretto.

Telemaco Signorini a Pietramala

Il famoso macchiaiolo fiorentino Telemaco Signorini (1835 – 1901) trascorse gran parte dei suoi ultimi vent’anni a Pietramala, lasciando moltissimi disegni e dipinti paesaggistici di notevole pregio artistico, a testimonianza di un significativo cambiamento di stile e di ritrovata serenità interiore.
La prima volta che si trova menzione di questa località nelle sue memorie è nella “Cronologia autobiografica” (1879). Le opere ambientate a Pietramala iniziano però a comparire nel catalogo delle Promotrici Fiorentine (1888) e nella “Lettera informativa al Pres. della Reale Accademia di Belle Arti di Firenze” in cui Signorini menzionerà Pietramala a proposito del tempo trascorso nel 1890-91. Alcuni dei dipinti di questo periodo furono acquistati dal Re d’Italia, altri arricchiscono collezioni private ed altri ancora sono stati donati e sono tutt’oggi presenti all’Accademia d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.

Fine d’Agosto a Pietramala (1889)
Pascolo a Pietramala (1889)

A conferma dell’alto livello qualitativo del periodo 1888-1892 citiamo:
“Tra l’Isola d’Elba, Piancastagnaio, Riomaggiore, Pietramala e ancora Settignano passa la maturità e si avvia la vecchiaia di Signorini […] in un percorso così fatto di opera si definiscono alcuni capolavori nei quali in teorema ottico diviene contemplazione formale: opere come Fine d’Agosto a Pietramala (1889), tra le altre, sono fra i maggiori esempi di questa eccellenza episodica.”
da “Telemaco Signorini, una retrospettiva”, Firenze, Palazzo Pitti 8/2 – 27/4 1997.